Insufficienza Cardiovascolare

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Approfondimenti di Chirurgia Vascolare

Insufficienza Cerebrovascolare

È la terza causa di morte e la prima di disabilità, con una prevalenza del 6.5% tra i 65 e gli 84 anni. L’incidenza è di circa 194.000 ictus/anno. La mortalità a 30 giorni raggiunge il 20%. Fra coloro che superano l’ictus il 66% circa presenta deficit neurologici permanenti. Importante è sottolineare i 2/3 degli attacchi ischemici transitori (TIA) e degli ictus sono attribuibili al territorio carotideo e il restante terzo a quello vertebrobasilare.

L’insufficienza cerebrovascolare può essere data da:

• ictus che a sua volta può avere diverse eziologie;

• sindrome da furto della succlavia (o della succlavia ladra): normalmente nell’arteria basilare la PA è inferiore al 10% rispetto a quella della succlavia. Una stenosi della succlavia può indurre una caduta pressoria del 10% ed arresto della circolazione della vertebrale; mentre una caduta pressoria del 20 % può indurre un’inversione del circolo con ischemia cerebrale.

Il cervello riceve circa il 15-20% del circolo ematico totale. 700 cc/min li riceve dalle carotidi comuni, i restanti 300cc/min dalle vertebrali. Il sistema nervoso centrale ha una spiccata sensibilità all’ipossia e all’anossia. Se l’anossia è limitata a 2-3min il paziente può riacquistare pienamente le funzioni neurologiche.

Numerose lesioni anatomiche dei tronchi epiaortici posso essere responsabili di insufficienza cerebrovascolare. Ateroscelrosi, displasia fibro-muscolare, arterite di Takayasu e cardiopatie emboligine, sono le cause principali sia nel distretto carotideo, sia in quello vertebrobasilare. Il meccanismo tromboembolico è responsabile maggiormente però degli accidenti del distretto carotideo, nel caso di una placca ostiale ulcerata della succlavia, sarà coinvolta l’arteria cerebrale posteriore con conseguenze a carico del cervelletto e della zona occipitale. Il meccanismo più frequente a livello del circolo posteriore è invece il progressivo aumento della stenosi, fino alla stenosi serrata e all’infarto ischemico. Di solito è coinvolta l’origine della vertebrale o i primi 2 cm della basilare dopo la fusione delle vertebrali. Altri fenomeni sono il kinking e il coiling, che consistono in una maggiore lunghezza delle arterie carotidi, le quali vanno a creare degli inginocchiamenti (kinking) o a spiralizzarsi (coiling), con la ovvia conseguenza di una diminuita perfusione.

Abbiamo praticamente già detto che alla base di eventi ipossici c’è quasi sempre una malattia steno-occlusiva che colpisce primariamente le carotidi e in special modo la biforcazione fra carotide interna e esterna.

Il paziente con stenosi carotidea può essere:

• asintomatico;

• avere episodi di TIA (Transient Ischemic Attack), cioè comparsa improvvisa di segni e/o sintomi riferibili a deficit focali cerebrali o visivi, attribuibili ad insufficiente apporto di sangue, di durata inferiore alle 24 h;

• avere uno stroke, comparsa improvvisa di segni e sintomi riferibili a deficit focale o globale delle funzioni cerebrali, di durata superiore alle 24 h o ad esito infausto;

• drop attack, brusca perdita di tono degli arti inferiori a cui non si accompagna perdita di coscienza.

Quando parliamo di sintomi focali (vie piramidali) intendiamo che questo deficit sarà evidente nella parte controlaterale rispetto alla lesione centrale, con sintomi principalmente motori, che posso arrivare alla paralisi completa.

I sintomi oculari sono invece attribuibili ad occlusione dell’arteria oftalmica, ramo collaterale della carotide interna; avremo un’ischemia retinica transitoria omolaterale rispetto alla lesione (amaurosi fugans) con cecità monooculare brusca ed improvvisa. La sintomatologia sarà controlaterale alla lesione se è colpita la corteccia visiva (scissura calcarina).

I difetti sensoriali comprendono parestesie ed anestesia, interessando il controlato.

I difetti del linguaggio sono disartria, afasia e disfonia.

La sintomatologia di TIA quando è colpito il distretto vertebro basilare varia da quella associata a TIA carotidea. Potremmo avere:

• Drop attack, brusca perdita di tono degli arti inferiori a cui non si accompagna perdita di coscienza;

• Debolezza o paralisi di uno o piu` arti;

• Alterazioni della sensibilità prima da un lato poi dall’altro, a volte bilaterale (La bilateralità e l’eventuale interessamento prima di un lato e poi dell’altro ci fa fare diagnosi differenziale con il distretto carotideo);

• Alterazioni della sensibilità variabili.

In caso di stroke del distretto vertebrobasilare, i sintomi varieranno in base al territorio interessato e quindi in base alla localizzazone della stenosi.

L’ischemia del tronco cerebrale (arteria basialre e vertebrale) induce alterazioni della sensibilità mono e bilaterale, anomalie della motricità controlaterale o bilaterale, tetraplegia e alterazioni dello stato di coscienza fino al coma.

L’ischemia dell’arteria cerebrale posteriore induce emianopsia laterale omonima, dislessia, acalculia, afasia di Wernicke, ipoestesia massiva; raramente emiparesi dell’emisoma controlaterale, aprassia, apatia, anosognosia totale, cecità corticale completa, agnosia visiva e spaziale.

L’ostruzione a livello dell’ arteria vertebrale all’origine e dell’arteria cerebellare danno origine a vertigine rotatoria, nausea, vomito, singhiozzo, alterazioni dell’equilibrio, della parola ed inoltre emi-ipo/anestesia algica alterna, miosi, ptosi, enoftalmo, paralisi della deglutizione e della vocalizzazione.

La diagnosi strumentale è molto importante, anche se vi è già il sospetto clinico.

Strumentalmente utilizzerò:

angiografia, esame comunque invasivo, che permette di correggere la stenosi nella stessa seduta, inserendo uno stent per via trasfemorale o brachiale.

Eco-Color Doppler, che ci dà informazioni morfologiche della placca e del vaso in esame e permette valutazioni emodinamiche del flusso. Consente di valutare il grado di stenosi. Ci permette di distinguere se l’origine embolica sia cardiaca o carotidea.

TC: sono necessarie 24h dall’evento prima di vedere la lesione ischemica, ci dà informazioni però su eventuali emorragie o segni di edema.

RNM, si presenta più accurata della TC nello studio di lesioni nella fossa cranica posteriore, inoltre consente una visualizzazione precoce elle lesioni ischemiche.

Trattamento, indicazioni:

Paziente asintomatico con stenosi maggiori o uguali al 70%;

Paziente sintomatico, in presenza di uno o più episodi di TIA negli ultimi 6 mesi e stenosi maggiore o uguale al 60%.

Il gold standard per il trattamento della stenosi carotidea è l’endoaterectomia carotidea (CEA).

Consiste nel fare un’incisione sul margine anteriore del muscolo sternocleidomastoideo, facendo attenzione a non ledere nervi cranici, rimuovendo poi la placca insieme agli strati interni ammalati della parete. Lo scopo di questa tecnica è duplice:

Ripristinare la circolazione del segmento ostruito;

Mantenere parte della struttura primitiva dell’arteria.

Questo tipo di chirurgia a cielo aperto si contrappone alla chirurgia endovascoalre con impianto di stent (CAS). La chirurgia per così dire classica può essere effettuata con varie metodiche che variano nel modo in cui viene ripristinata la continuità arteriosa dopo l’asportazione della placca:

Sutura diretta, che consiste nella tecnica descritta sopra: l’arteria da operare viene clampata a monte e a valle della placca e poi si incide longitudinalmente e si rimuove la placca. Si fa poi una sutura continua, con rischio di recidive;

Apposizione di un patch, cioè l’arteria viene suturata con l’apposizione di un patch protesico per evitare che si riformi una placca dovuta alla stenosi;

Eversione dell’arteria, che consiste nel fare un’incisione trasversale dell’arteria, nell’eversione dell’arteria a dito di guanto e rimozione della placca e poi reimpianto della carotide sul bulbo carotideo. Si posso trattare così placche molto lunghe.

I pazienti che vengono sottoposti a EAC per eversione hanno una probabilità 3 volte inferiore di sviluppare restenosi rispetto al trattamento standard.

Le complicanze perioperatorie sono il rischio di indurre un ictus. Questo può accadere per tre motivi:

Trombosi o embolia sono la causa più frequente, non prevedibile e difficilmente trattabile. Questo accade perchè esponiamo una superficie altamente trombogenica al flusso ematico.

Ischemia da clampaggio si ha nei pazienti senza circoli di compenso, è relativamente rara e prevenibile con shunt, tubicino fra carotide comune ed interna per permettere adeguata perfusione cerebrale. Questo dipende dalla durata del clampaggio, fattori anatomici e patologia associata;

Sindrome da rivascolarizzazione. Si ha in pazienti con autoregolazione del flusso compromessa dopo correzione di una stenosi carotidea di grado molto elevato. Si presenta con cefalea ipsilaterale, crisi epilettiche, deficit neurologici focali transitori e emorragia intraparenchimale.

Esistono sistemi di monitoraggio intraoperatori per monitorare l’ossigenazione centrale durante il clampaggio:

Misurazione diretta del flusso cerebrale con radioisotopo marcato. Criterio per lo shunting sono un flusso inferiore ai 18ml/100 g/min

Misurazione dell’ossigenazione con spettroscopia ad infrarossi con shunting indicato con saturazione di O2 inferiore al 5%..

Ossimetria giugulare continua con shunting con O2 minore del 50%,; necessita del posizionamento di un catetere.

Misurazione indiretta del flusso cerebrale, rilevando la pressione residua in arteria carotide interna distale, che deve essere minore di 50 mmHg. Alto tasso di falsi positivi.

Doppler transcranico per misurazione indiretta del flusso cerebrale; possiamo osservare microemboli durante la procedura.

EEG è una valutazione specialistica che deve tenere presente l’influenza degli agenti anestetici e valuta la corteccia.

Potenziali evocati

Gold standard se il paziente è compliante è la valutazione clinica in anestesia locoregionale.

Concludendo con la CEA diminuisco il rischio embolico, ma è maggiore il rischio sistemico operatorio, con CAS aumento il rischio embolico e diminuisco il rischio operatorio.

L’indicazioni alla CEA è:

• Pazienti giovani, a basso rischio sistemico,

• Placche soft, complicate,

• Tortuosità severe,

• Calcificazioni estese.

La diagnosi di arteriopatia obliterante periferica è solitamente abbastanza facile ed un attento esame obiettivo può bastare a raggiungerla. Importante è anche la ricerca di altre patologie correlate. La diagnosi si basa su diversi livelli, il primo dei quali è l’anamnesi; che deve essere volta alla caratterizzazione della claudicatio, ponendo attenzione sia al tipo di dolore, sia alla sua durata, sia alla modalità di regressione. Il dolore è generalmente crampiforme, con debolezza associata, senso di freddo e di arto “legnoso”.

All’ispezione bisogna osservare la presenza o l’assenza di peli, il colorito e la grandezza dell’arto rispetto al controlaterale.

Alla palpazione va valutata la temperatura dell’arto. Arto freddo per diminuita perfusione, arto caldo per presenza di infiammazione. Vanno inoltre ricercati i polsi:

1) Femorali, alla base del triangolo di scarpa. La loro assenza mi fa pensare ad un’occlusione alla biforcazione aortica o ai tronchi iliaci;

2) Poplitei, dietro al ginocchio a gamba rilassata. La loro assenza mi fa pensare ad un’occlusione a carico della femorale e frequentemetne a carico della femorale superficiale nel canale di Hunter degli adduttori;

3) tibiale anteriore, nella regione antero-laterale distale della gamba;

4) tibiale posteriore, retromalleolare mediale;

5) pedideo, a livello del dorso del piede.

L’assenza di questi 3 ultimi polsi indirizza verso l’occlusione della biforcazione dell’arteria poplitea.

All’auscultazione si possono raramente apprezzare soffi vascolari.

La diagnosi differenziale va fatta con lesioni a strutture nervose o dolore per coinvolgimento dei vasi venosi, con comparsa di ulcere trofiche che si distinguono tuttavia da quelle da AOP.

Le ulcere da ACOP infatti sono:

• per lo più distali

• dolore grave anche in clinostatismo

• sanguinamento scarso

• margini irregolari

• assenza di tessuto granuloso nel fondo dell’ulcera.

La diagnosi strumentale si avvale, in primis, del calcolo dell’indice di Windsor per entrambi gli arti (indagini di primo livello). Con valori:

• tra 1-1.2 normale

• minore o uguale a 0.9 arteriopatia

• tra 0.4- 0.6 claudicatio stretta

• minore a 0.4 dolore a riposo, ischemia critica

• minore di 0.25 presenza di lesioni

L’Eco-Color Doppler, indagine di secondo livello, non deve essere utilizzato per il controllo del paziente in terapia, ma è consigliato l’ uso prima di fare un’angiografia o un intervento di rivascolarizzazione. In presenza di placca valuto le caratteristiche morfologiche e la velocità del flusso. Devo fare un’attenta valutazione longitudinale a partire dall’asse iliaco, la femorale comune, la biforcazione femorale, femorale profonda, femorale superficiale, a. poplitea e biforcazione poplitea.

L’angiografia rimane il gold standard, fornendo una mappa precisa tridimensionale dell’albero arterioso. Tuttavia essendo invasiva, è riservata nel caso si valuti un intervento di rivascolarizzazione.

Potremmo inoltre utilizzare l’angio-TC, che fornisce informazioni sulla morfologia arteriosa e sull’eventuale presenza di calcificazioni.

Dal punto di vista terapeutico è molto importante la prevenzione e la diminuzione dei fattori di rischio. In caso di ipercolesterolemia ed ipertrigliceridemia oltre alla dieta sarà importante instaurare una terapia con statine.

Altri farmaci che vengono utilizzanti in corso di AOP sono:

• antiaggreganti, quali l’asa 100 mg/die, per rallentare l’evoluzione e prevenire le riocclusioni dopo l’intervento.

• anticoagulanti, usati più raramente e solo come prevenzione terziaria post-intervento post IMA.

• prostanoidi, in pazienti con ischemia critica

• emoreologici, che aumentano la fluidità del sangue, ma senza una combinata diminuzione dei fattori di rischio sono praticamente inutili.

Molto importante sarà inoltre una buona terapia del dolore, componente invalidante della malattia. Possiamo fare analgesia peridurale con blocco reversibile dei gangli simpatici lombari. In corso di ischemia critica o in stadio 3 o 4 si possono dare anche narcotici, morfina o fare la stimolazione del midollo spinale attraverso elettrodi che agiscono sui nocicettori.

In case di ulcere è importante tenerle pulite e introdurre una terapia antibiotica

Come primo step, bisogna sempre valutare il rischio operatorio del singolo paziente.

La chirurgia endovascolare è ampiamente diffusa con l’utilizzo di cateteri a palloncino e stent con griglia metallica. La PTA (angioplastica percutanea transluminale) con endoprotesi, è particolaramente efficace nell’AOP del distretto aorto iliaco. Consiste nell’eliminazione della stenosi attraverso un pallocino, non necessariamente seguita dall’applicazione di uno stetnt, che a sua volta puo` essere medicato o non medicato. Nel distretto aorto iliaco la PTA ha ottenuto ottimi risultati per stenosi inferiori ai 3 cm, ma meno buoni per quelle maggiori di 5 cm. Se la placca è a ridosso di una biforcazione utilizzo due palloncini per evitare il passaggio di materiale trombotico nell’altra arteria.

Tirando le somme possiamo dire che il successo immediato di questa tecnica è del 90%, percentuale che cala bruscamente in caso di calcificazioni diffuse. Le complicanze precoci si verificano nel 3-13% dei casi e la pervietà ad un anno è di circa il 70%, a 5 anni del 50%.

Una tecnica operatoria diversa è l’utilizzo di by-pass; questa porta con sé un rischio operatorio maggiore, soprattutto per il bypass femoro-tibiale, intervento riservato solo a chi è ad elevato rischio di amputazione. Di solito viene utilizzata per AOP a carico della arteria poplitea. Le complicanze sono date dall’innesto di materiale protesico sintetico e l’utilizzo di protesi autologhe (vene safene) ne ha diminuito l’incidenza. I by-pass possono essere:

1) Anatomici, che ripercorrono lo stesso tragitto delle arterie;

2) Extranotomici, che collegano distretti non interessati dall’AOP, tipo il by pass femorale-femorale o axillo-femorale. Questa tecnica è riservata a pazienti ad alto rischio operatorio.

La pervietà a 5 anni è dell 80% se uso una vena soprapoplitea e del 60% se sotto poplitea.

Una terza metodica è la TEA, tromboendoarterectomia (con utilizzo dell’anello di Wolmar, ring-stripper), che tuttavia ha risultati molto inferiori rispetto alla PTA e maggiori difficoltà di esecuzione.

Riassumendo trattero` in endovascoalre un’AOP :

un distretto aorto iliaco in un paziente ad alto rischio,

mutidistrettuale,

in paziente con ischemia critica.

Se invece non ho ischemia critica e il distretto è sotto inguinale farò un bypass.

La TASC per occlusioni che coinvolgono il distretto aorto iliaco, con indicazione al trattamento endovascoalre, proprone una classificazione morfologica:

Tipo A: singola stenosi dell’arteria iliaca comune o dell’arteria iliaca esterna

inferiore ai 3 cm.

Tipo B:

a. singole stenosi comprese tra i 3 e i 10 cm che non interessano l’arteria

femorale comune;

b. 2 stenosi complessivamente inferiori ai 5 cm che interessano l’arteria iliaca comune o l’arteria iliaca esterna, ma che non coinvolgono l’arteria femorale comune;

c. occlusione monolaterale dell’arteria iliaca comune.

Per quanto riguarda il trattamento quindi possiamo affermare che nella claudicatio intermittens non c’è evidenza di superiorità di un trattamenrto sull’altro, mentre nell’ischemia critica abbiamo superiorità del trattamento chirurgico nel distretto sottoingueale e del trattamento endovascoalre nei pazienti con AOP del distretto aorto iliaco o ad alto rischio operatorio.

Arteriopatie Obliteranti Croniche Periferiche

È un insieme di condizioni morbose caratterizzato da lesioni ostruttive a carico dei distretti arteriosi a valle delle arterie renali che inducono una diminuzione della perfusione agli arti inferiori.

Insufficienza Cerebrovascolare. Epidemiologia

È la terza causa di morte e la prima di disabilità, con una prevalenza del 6.5% tra i 65 e gli 84 anni. L’incidenza è di circa 194.000 ictus/anno. La mortalità a 30 giorni raggiunge il 20%

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