Arteriopatie Obliteranti Croniche Periferiche

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Arteriopatie Obliteranti Croniche Periferiche

È un insieme di condizioni morbose caratterizzato da lesioni ostruttive a carico dei distretti arteriosi a valle delle arterie renali che inducono una diminuzione della perfusione agli arti inferiori.

Le localizzazioni preferenziali sono i punti di massima turbolenza quali la biforcazione iliaca e le diramazioni in cui l’angolo fra i vasi è particolarmente acuto, e.g. l’emergenza dell’arteria iliaca esterna e il distretto femoro popliteo tibiale.

L’incidenza di questa patologia è aumentata dagli anni 60 per il concordante aumento di:

• Fumatori

• Ipertesi

• Cardiopatici

Per quanto riguarda la prevalenza ci sono differenti studi, che adottano criteri diversi. Lo studio Rotterdam, che utilizza l’indice di Windsor, afferma che con un indice caviglia/braccio minore di 0.9, la prevalenza nel 1998 era del 19.1%.

L’arteriopatia obliterante periferica puo` essere attribuita a due macro cause:

Cause degenerative

Cause non degenerative

Fra le forme degenerative abbiamo:

a. L’ATEROSCLEROSI che rappresenta il 98, 6% di tutte le cause. Questa è associata ad altri fattori di rischio quali:

1. L’ ETA`

2. Il SESSO

3. Il FUMO

4. Il DIABETE

5. L’ IPERTENSIONE

6. L’ IPERLIPIDEMIA: paziente con livelli di colesterolo a digiuno maggiore o uguale a 270 mg/dL hanno rischio doppio di incidenza di claudicatio

a. LA DEGENERAZIONE CISTICA DELLA POPLITEA

b. la SINDROME DA INTRAPPOLAMENTO DELLA POPLITEA.

Fra le forme non degenerative ricordiamo:

a. MALATTIA DI BURGER o Tromboangioite Obliterante. Malattia di origine infiammatoria a carico delle arterie di medio o piccolo calibro, principalmente degli arti. Si manifesta preferenzialmente nei maschi fumatori sotto i 40 anni. A livello della parate dei vasi troviamo polimorfonucleati, monociti e fibroblasti.

b. ARTERITE DI HORTON, la quale coinvolge principalmente le arterie di grosso calibro, in primis l’arteria temporale. Troviamo calcificazioni e ispessimenti. Si può avere interessamento oculare e cecità, per nevrite ischemica del nervo ottico.

c. ARTERITE DI TAKAYASU, che coinvolge primariamente pazienti giovani con sindrome dell’arco aortico e interessamento dell’arteria succlavia. Clinicamente avremo claudicatio dell’arto superiore e lipotimie, per furto alle arterie cerebrali.

d. INFEZIONI BATTERICHE E VIRALI.

Clinicamente il sintomo più precoce è la claudicatio intermittens, segno di ischemia funzionale, cioè dolore che compare durante la deambulazione e sparisce in pochi minuti rallentando il passo o riposandosi.

La claudicatio può essere di origine arteriosa, venosa o nervosa, ma può essere distinta attraverso le caratteristiche della comparsa del dolore e della sua remissione; infatti se è arteriosa regredisce con il riposo; se venosa diminuisce con il clinostatismo, se neurogena il dolore non è influenzato dal riposo.

Se l’occlusione riguarda il distretto aorto-iliaco possiamo avere la SINDROME DI LERICHE con claudicatio di gluteo, coscia e schiena, assenza dei polsi femorali e impotentia coeundi, per diminuita perfusione delle arterie ipogastriche (normalmente la sola claudicatio non è un’indicazione al trattamento chirurgico, ma, nella Sindorme di Leriche, se è associata a impotenza, vi è indicazione al trattamento chirurgico).

La comparsa di dolore dipende dal grado di occlusione e dall’efficienza dei circoli collaterali. Sono state proposte diverse stadiazioni della malattia in base alla sintomatologia e ai segni clinici.

Per LERICHE-FONTAINE abbiamo 4 stadi:

1. asintomatico

2. claudicatio intermittens

3. dolore a riposo

4. ulcere con lesioni trofiche

Un’altra classificazione è quella di Rutherford

1. asintomatico

2. lieve claudicatio non disabilitante

3. claudicatio dopo i 200 metri che regredisce con riposo dai 30 secondi a 2 minuti

4. claudicatio severa prima di 200 metri che necessita di più` di 3 minuti di riposo

per recuperare.

5. dolore a riposo

6. perdita di tessuto non elevata

7. perdita di tessuto elevata.

La classificazione di Rutherford ha dato anche la definizone di ischemia critica secondo 2 criteri, il primo, più semplice, secondo il quale intendiamo per ischemia critica il dolore cronico a riposo per almeno 15 gg o lesioni trofiche o gangrena riconducibili a AOP. Il secondo si basa su diagnosi strumentali riguardanti la pressione arteriosa, e la pressione transcutanea di ossigeno.

Un’indicazione importante ce la dà l’indice di Windsor, che valuta il rapporto tra pressione alla caviglia e pressione all’omero. Per valori inferiori a 0.4 parliamo di ischemia critica. Nel caso di pazienti diabetici con calcificazioni arteriose o dializzati utilizziamo i criteri assoluti di Pa che sono:

Pressione arteriosa alla caviglia minore di 50-70 mmHg

Pressione arteriosa all’alluce minore di 30-50 mmHg

Inoltre possiamo valutare la TCPO2, la quale è discriminante per valori minori di 30-50 mmHg che non aumentano con inalazone di O2.

Il 75% dei pazienti con claudicatio rimane stabile nel tempo o addirittura migliora sul piano sintomatico; il 20% va incontro ad un aggravamento e solo il 5% ad ischemia critica degli arti inferiori. Questo ci porta ad affermare che di per sé la claudicatio e l’AOP sono benigne, ma sono una spia estremamente importante di problemi cardiovascolari; infatti il 30% a 5 anni e il 50% a 10 anni vanno incontro a IMA o ictus.

Anche i pazienti asintomatici hanno un rischio cardiovascolare aumentato. Una diagnosi precoce di AOP permette di applicare efficaci interventi di prevenzione e una corretta terapia per diminuire il rischio cardiovascolare e il rischio di amputazione. In caso di ischemia critica l’amputazione è molto frequente. Uno studio prospettico condotto in Italia afferma che il rischio di amputazione maggiore è del 12.2% dopo soli 3 mesi di ischemia critica e aumenta se il paziente continua a fumare o se è diabetico.

La diagnosi di arteriopatia obliterante periferica è solitamente abbastanza facile ed un attento esame obiettivo può bastare a raggiungerla. Importante è anche la ricerca di altre patologie correlate. La diagnosi si basa su diversi livelli, il primo dei quali è l’anamnesi; che deve essere volta alla caratterizzazione della claudicatio, ponendo attenzione sia al tipo di dolore, sia alla sua durata, sia alla modalità di regressione. Il dolore è generalmente crampiforme, con debolezza associata, senso di freddo e di arto “legnoso”.

All’ispezione bisogna osservare la presenza o l’assenza di peli, il colorito e la grandezza dell’arto rispetto al controlaterale.

Alla palpazione va valutata la temperatura dell’arto. Arto freddo per diminuita perfusione, arto caldo per presenza di infiammazione. Vanno inoltre ricercati i polsi:

1) Femorali, alla base del triangolo di scarpa. La loro assenza mi fa pensare ad un’occlusione alla biforcazione aortica o ai tronchi iliaci;

2) Poplitei, dietro al ginocchio a gamba rilassata. La loro assenza mi fa pensare ad un’occlusione a carico della femorale e frequentemetne a carico della femorale superficiale nel canale di Hunter degli adduttori;

3) tibiale anteriore, nella regione antero-laterale distale della gamba;

4) tibiale posteriore, retromalleolare mediale;

5) pedideo, a livello del dorso del piede.

L’assenza di questi 3 ultimi polsi indirizza verso l’occlusione della biforcazione dell’arteria poplitea.

All’auscultazione si possono raramente apprezzare soffi vascolari.

La diagnosi differenziale va fatta con lesioni a strutture nervose o dolore per coinvolgimento dei vasi venosi, con comparsa di ulcere trofiche che si distinguono tuttavia da quelle da AOP.

Le ulcere da ACOP infatti sono:

• per lo più distali

• dolore grave anche in clinostatismo

• sanguinamento scarso

• margini irregolari

• assenza di tessuto granuloso nel fondo dell’ulcera.

La diagnosi strumentale si avvale, in primis, del calcolo dell’indice di Windsor per entrambi gli arti (indagini di primo livello). Con valori:

• tra 1-1.2 normale

• minore o uguale a 0.9 arteriopatia

• tra 0.4- 0.6 claudicatio stretta

• minore a 0.4 dolore a riposo, ischemia critica

• minore di 0.25 presenza di lesioni

L’Eco-Color Doppler, indagine di secondo livello, non deve essere utilizzato per il controllo del paziente in terapia, ma è consigliato l’ uso prima di fare un’angiografia o un intervento di rivascolarizzazione. In presenza di placca valuto le caratteristiche morfologiche e la velocità del flusso. Devo fare un’attenta valutazione longitudinale a partire dall’asse iliaco, la femorale comune, la biforcazione femorale, femorale profonda, femorale superficiale, a. poplitea e biforcazione poplitea.

L’angiografia rimane il gold standard, fornendo una mappa precisa tridimensionale dell’albero arterioso. Tuttavia essendo invasiva, è riservata nel caso si valuti un intervento di rivascolarizzazione.

Potremmo inoltre utilizzare l’angio-TC, che fornisce informazioni sulla morfologia arteriosa e sull’eventuale presenza di calcificazioni.

Dal punto di vista terapeutico è molto importante la prevenzione e la diminuzione dei fattori di rischio. In caso di ipercolesterolemia ed ipertrigliceridemia oltre alla dieta sarà importante instaurare una terapia con statine.

Altri farmaci che vengono utilizzanti in corso di AOP sono:

• antiaggreganti, quali l’asa 100 mg/die, per rallentare l’evoluzione e prevenire le riocclusioni dopo l’intervento.

• anticoagulanti, usati più raramente e solo come prevenzione terziaria post-intervento post IMA.

• prostanoidi, in pazienti con ischemia critica

• emoreologici, che aumentano la fluidità del sangue, ma senza una combinata diminuzione dei fattori di rischio sono praticamente inutili.

Molto importante sarà inoltre una buona terapia del dolore, componente invalidante della malattia. Possiamo fare analgesia peridurale con blocco reversibile dei gangli simpatici lombari. In corso di ischemia critica o in stadio 3 o 4 si possono dare anche narcotici, morfina o fare la stimolazione del midollo spinale attraverso elettrodi che agiscono sui nocicettori.

In case di ulcere è importante tenerle pulite e introdurre una terapia antibiotica

Come primo step, bisogna sempre valutare il rischio operatorio del singolo paziente.

La chirurgia endovascolare è ampiamente diffusa con l’utilizzo di cateteri a palloncino e stent con griglia metallica. La PTA (angioplastica percutanea transluminale) con endoprotesi, è particolaramente efficace nell’AOP del distretto aorto iliaco. Consiste nell’eliminazione della stenosi attraverso un pallocino, non necessariamente seguita dall’applicazione di uno stetnt, che a sua volta puo` essere medicato o non medicato. Nel distretto aorto iliaco la PTA ha ottenuto ottimi risultati per stenosi inferiori ai 3 cm, ma meno buoni per quelle maggiori di 5 cm. Se la placca è a ridosso di una biforcazione utilizzo due palloncini per evitare il passaggio di materiale trombotico nell’altra arteria.

Tirando le somme possiamo dire che il successo immediato di questa tecnica è del 90%, percentuale che cala bruscamente in caso di calcificazioni diffuse. Le complicanze precoci si verificano nel 3-13% dei casi e la pervietà ad un anno è di circa il 70%, a 5 anni del 50%.

Una tecnica operatoria diversa è l’utilizzo di by-pass; questa porta con sé un rischio operatorio maggiore, soprattutto per il bypass femoro-tibiale, intervento riservato solo a chi è ad elevato rischio di amputazione. Di solito viene utilizzata per AOP a carico della arteria poplitea. Le complicanze sono date dall’innesto di materiale protesico sintetico e l’utilizzo di protesi autologhe (vene safene) ne ha diminuito l’incidenza. I by-pass possono essere:

1) Anatomici, che ripercorrono lo stesso tragitto delle arterie;

2) Extranotomici, che collegano distretti non interessati dall’AOP, tipo il by pass femorale-femorale o axillo-femorale. Questa tecnica è riservata a pazienti ad alto rischio operatorio.

La pervietà a 5 anni è dell 80% se uso una vena soprapoplitea e del 60% se sotto poplitea.

Una terza metodica è la TEA, tromboendoarterectomia (con utilizzo dell’anello di Wolmar, ring-stripper), che tuttavia ha risultati molto inferiori rispetto alla PTA e maggiori difficoltà di esecuzione.

Riassumendo trattero` in endovascoalre un’AOP :

un distretto aorto iliaco in un paziente ad alto rischio,

mutidistrettuale,

in paziente con ischemia critica.

Se invece non ho ischemia critica e il distretto è sotto inguinale farò un bypass.

La TASC per occlusioni che coinvolgono il distretto aorto iliaco, con indicazione al trattamento endovascoalre, proprone una classificazione morfologica:

Tipo A: singola stenosi dell’arteria iliaca comune o dell’arteria iliaca esterna

inferiore ai 3 cm.

Tipo B:

a. singole stenosi comprese tra i 3 e i 10 cm che non interessano l’arteria

femorale comune;

b. 2 stenosi complessivamente inferiori ai 5 cm che interessano l’arteria iliaca comune o l’arteria iliaca esterna, ma che non coinvolgono l’arteria femorale comune;

c. occlusione monolaterale dell’arteria iliaca comune.

Per quanto riguarda il trattamento quindi possiamo affermare che nella claudicatio intermittens non c’è evidenza di superiorità di un trattamenrto sull’altro, mentre nell’ischemia critica abbiamo superiorità del trattamento chirurgico nel distretto sottoingueale e del trattamento endovascoalre nei pazienti con AOP del distretto aorto iliaco o ad alto rischio operatorio.

Arteriopatie Obliteranti Croniche Periferiche

È un insieme di condizioni morbose caratterizzato da lesioni ostruttive a carico dei distretti arteriosi a valle delle arterie renali che inducono una diminuzione della perfusione agli arti inferiori.

Insufficienza Cerebrovascolare. Epidemiologia

È la terza causa di morte e la prima di disabilità, con una prevalenza del 6.5% tra i 65 e gli 84 anni. L’incidenza è di circa 194.000 ictus/anno. La mortalità a 30 giorni raggiunge il 20%

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Chirurgo vascolare, angiologo
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